Cachemire rosso. Il filo che unisce la Mongolia all’Italia è fatto anche di dolore e sopraffazione.

Bolormaa è una giovane ragazza mongola che vive da nomade insieme alla sua famiglia nella parte cinese della regione.

Il dzuz un fenomeno climatico caratterizzato da un’ondata di freddo estremo dopo un’estate torrida, ha decimato il loro gregge.

I suoi fratelli convincono il padre a vendere ad un cinese senza scrupoli quello che rimane e a trasferirsi ad Ordos dove vivono in case a di cemento e lavorano in una fabbrica di abbigliamento senza vedere il cielo per ore e ore.

Ordos , il cui nome significa “la città dai molti palazzi”: è una città costruita dal governo cinese per ricollocare e “riconvertire” pastori, allevatori e contadini offrendo loro condizioni di vita apparentemente più favorevoli ma privandoli di fatto di molta libertà e diritti. E’ considerata una città fantasma perché il progetto ha tempi di realizzazione molto lunghi : ricollocare 250 milioni di persone nell’arco di 20 anni.

Su Ordos è stato realizzato il documentario The land of many places che racconta la storia di due personaggi: un funzionario del governo, il cui compito è quello di convincere i contadini che le loro condizioni di vita miglioreranno se accetteranno di trasferirsi in città, e un contadino, che vive in uno dei pochi villaggi rimasti nella regione e sperimenta i numerosi tentativi del governo di farlo trasferire in città.

Il padre lascia a Bolormaa il prodotto della tosatura delle prime cinque capre, quella lana da cui si ricava il cachemire famoso in tutto il mondo. La lavora, e coi i fiori e i rizomi che ha raccolto ottiene un colore rosso talmente intenso profondo, violento se paragonato alla morbidezza del chachemire, che le trappa lacrime di orgoglio. Tinge la lana e con il piccolo telaio ereditato dalla nonna comincia a confezionare una maglia che proverà a vendere.

Al mercato mongolo di Ordos Alessandra, italiana, proprietaria insieme a Giulia di un negozio di maglieria di puro cachemire a Firenze viene attratta immediatamente dal quel rosso che sanguina passione. Lo acquista al doppio del prezzo e consegna a Bolormaa un biglietto da visita insieme a l’offerta di offrirle un lavoro in Italia.

Da quel momento la vita della giovane mongola cambierà sempre. Accadrà in modo doloroso, pericoloso e avventuroso. Attraverserà la Mongolia cinese, quella libera, la Russia per arrivare in Italia. Lo farà con ogni mezzo, sempre con un’attenzione e uno sguardo poetico sui paesaggi che sfileranno davanti ai suoi occhi e sulle persone che incontrerà. E sarà proprio quel filo rosso a mantenere in lei viva la speranza. Anche quando tutto sembra perduto, quando l’amica cinese che con lei ha intrapreso quel viaggio morirà nell’incendio di un laboratorio: 7 vittime, come accaduto a Prato meno di 10 anni fa.

Interessante in questo romanzo è il modo in cui, con un linguaggio semplice, immediato,e poetico vengono affrontati temi essenziali e universali: lo sfruttamento e il deterioramento dell’ambiente, le conseguenze dell’industrializzazione e del profitto eccessivo, lo sfruttamento disumano della forza lavoro, i misfatti dei contrabbandieri, degli “schiavisti”. Mondi opposti che si incontrano, trame di vite che si si perdono intrecciano in modi improbabili e imprevedibili. Il tutto narrato con grande umanità e passione, dedicato dall’Autrice ai dannati della terra, agli schiavi della fame.

La Mongolia sta faticando per migliorare i profitti generati dalla sua industria di cashmere, soprattutto perché la maggior parte delle lavorazioni sono realizzate in modo più economico oltre confine, in Cina. Per questo ha annunciato l’apertura di una nuova a nuova piattaforma online per gli acquisti globali tramite la cinese Bohai. La piattaforma online consente alle fabbriche di acquistare il cashmere mongolo direttamente attraverso la Borsa di Bohai, senza inviare i loro rappresentanti in Mongolia. La Mongolia ha un totale stimato di 27 milioni di capre e una capacità di produzione annuale di cashmere di 9.400 tonnellate. Fornisce circa il 40% di cashmere grezzo mondiale

Dello sfruttamento e dei diritti dei lavoratori negati dalla Cina ho già parlato qui .

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2 risposte a Cachemire rosso. Il filo che unisce la Mongolia all’Italia è fatto anche di dolore e sopraffazione.

  1. Christiana Moreau ha detto:

    Grazie mille per l´articolo molto completo.

    • cinziarobbiano ha detto:

      Grazie a Lei, il libro mi e piaciuto. E piace molto anche ai lettori della Biblioteca in cui lavoro. Spero avremo presto un Suo nuovo libro.

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