Più Jackie meno John, anche al suo funerale

Ho sempre amato Jackie, e non solo per ragioni estetiche. E’ un’icona, è fuori discussione. Ma se lo è, è perché aveva altro oltre lo stile, la classe, etc. Il film Jackie ne è la conferma.

Della Presidenza Kennedy, che durò poco più di due anni, si ha una percezione dilatata. Fece cose ovviamente, ma ad ingantirne la figura contibuì non poco il ruolo svolto dalla moglie. E la scelta che fece, in occasione dei suoi funerali.

Tutto questo è ben narrato nel film, partendo dall’intervista  che Jackie rilasciò al giornalista del Life, una settimana dopo la morte del marito, nella residenza della famiglia Kennedy ad Hyannis Port. Costrinse White a  a venir meno all’etica professionale rivedendone gli appunti. White donò il suo quaderno con le sue note  alla John F. Kennedy Library  e chiese che venisse reso pubblico solo dopo la morte di Jackie.

Considerato che allora la rivista aveva più di 7 milioni di lettori, è evidente che poteva influenzare l’opinione pubblica e avere un ruolo determinante nel creare l’immaginario dei personaggi pubblici.

Nell’intervista Jackie avanza e indietreggia nella vicenda fornendo delle immagini molto scarne, ma non per questo meno efficaci, soprattutto del giorno dell’assassinio. E di Camelot, metafora della Nuova Frontiera così com’era nella visione di John,  romantica e sognante. Tutto ciò  ci consegna l’immagine di una moglie devota e straordinariamente determinata a suscitare ammirazione nei confronti del  marito. Alla fine degli appunti presi da White sarà proprio lei stessa ad aggiungere “nulla sarà mai come Camelot”. Perchè lo fece? non voleva che il ricordo del marito fosse solo affidato agli storici.

Per anni persone vicine allo staff del Presidente giurarono di non averlo mai sentito parlare di Camelot e che per nessura ragione era assimilabile alla Nuova Frontiera ma il mito ormai era stato creato.

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Così come quello di Candle in the Wind, la canzone che fu prima dedicata a Marilyn Monroe e in seguito a Lady Diana con il titolo Goodbye English Rose. La frase Candle in the Wind venne usata per la prima volta in un romanzo arturiano di T.H. White, pubblicato nel 1958. Tema del romanzo è il tentativo di Re Artù di governare senza utilizzare la forza. Nel 1960, l’anno dell’elezione di Kennedy, venne lanciato il musical Camelot che ebbe un notevole successo e la cui colonna sonora rimase in testa alla classifica per 60 settimane dall’inizio della presidenza.

R-487080-1410136415-7703.jpegQuando Kennedy venne assassinato in molti  lo paragonarono alla “candle in the wind” , la luce nell’oscurità delle tenebre. Anni dopo un giornalista utilizzò la stessa metafora per il necrologio di Janis Joplin. Bernie Taupin, l’autore di molti testi insieme ad Elton John, lesse la frase e gli piacque perché simboleggiava la vita interrotta dalla morte in giovane età. Poteva adattarsi a James Dean, a Montgomery Clift e a rendere immortali le persone. Scrisse Candle in the Wind nel 1973, dedicandola a Marilyn Monroe. Venne pubblicata in Inghilterra e si piazzò solo all’11 posto e a causa dello scarso successo venne pubblicata in USA solo tempo dopo.

Fu quella solo una delle tante storie di cui White si occupò, in quanto corrispondente per molte riviste dagli anni ’40 agli anni ’60,  che ebbero un impatto duraturo sulla nazione. Era un uomo con un talento indiscutibile, capace di guadagnarsi la fiducia e la simpatia di molti politici e diplomatici. Prima in Estremo Oriente, poi in Europa e infine ad Washington divenne confidente e consigliere piuttosto che un nemico delle persone che incontrò e di cui scrisse. Benchè non sia stato un giornalista imparziale seppe mantenere segreti e ciò gli garantì l’accesso ad informazioni importanti ed esclusive.

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Come molti dei suoi colleghi scrisse del mondo postbellico così come avrebbe voluto che fosse, piuttosto che com’era, distorcendo la realtà pur mantenendo intatta la brillantezza dell’imparzialità. Camelot era naturalmente un’illusione, ma White scrisse la storia di Kennedy così come la voleva Jackie. “La storia appartiene agli eroi e gli eroi non devono essere dimenticati”.

21077Nella sua autobiografia, scritta 15 anni dopo, riconobbe che la leggenda di Camelot era un travisamento della storia.

Fu a tutti gli effetti quello che oggi definiamo “storyteller”. Nei suoi racconti, l’elezione di un Presidente, divenne qualcosa che aveva a che fare con la drammaturgia, la suspence, il romanzo. Utilizzò tutte le sue competenze e conoscenze del mondo classico per costruire regni che molti altri non seppero esplorare, consegnando all’America un nuovo modo di guardare a se stessa.

Usò la compassione ben oltre il consentito dal protocollo professionale: voleva essere uomo prima ancora che giornalista.

Il suo fu a tutti gli effetti “il giornalismo dell’illusione”. Come fu illusione il funerale del Presidente che fu fatto a immagine di Jackie.

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