Ho il culto delle scarpe, lo sapete. E quindi l’occhio alla fine sempre lì finisce. Anche durante il nostro viaggio in Azerbaijan non ho potuto non concentrami su quel dettaglio ma non ho trovato una gran varietà di scarpe. Solo ciabatte. Di tutti i colori e le fogge, indossate indifferentemente da donne bambini e uomini che le indossano anche rosa o lilla, senza farne una questione di gender.
Nell’impossibilità di attribuire caratteristiche psicologiche a chi le indossa, perchè le indossano tutti ma proprio tutti, rimane l’indagine sociologica o storica ma nulla che abbia a vedere con le tendenze modaiole dell’estate del 2015 durante la quale è stata la ciabatta da piscina a farla da padrona, da giorno e da sera. Indossata in primavera con il calzino.
Qualche rivista di moda ha lanciato anche dei sondaggi tra le lettrici e i lettori per sapere cosa ne pensassero. In altri tempi ne avrei detto un gran male ma con l’età che avanza, il caldo e le proposte degli stilisti qualche giro in ciabatta me lo sono fatto anch’io. Tranne che in Azerbaijan, dove l’asperità delle strade, mi ha costretto ad indossare scarpe da trekking.
Asperità che non preoccupa gli Azeri, è ovvio, evidentemente abituati sin da piccoli a barcamenarsi con le difficoltà e il poco che c’è. Non accade a Baku ovviamente, ma nei villaggi più piccoli non trovi un negozio di scarpe. Eppure la brutta stagione arriva anche lì. Rimane qualche vecchio ciabattino che confeziona ancora a mano quelle tradizionali. Per il resto è ciabatta.
Il nome stesso “ciabatta” deriva dal turco çabata a sua volta derivato dal persiano cäbât. Stando allo studio di tale Dr. Cruel Die Sprachen und Volker Europa pare che già nel 1800-1700 a.C. la ciabatta fosse in uso tra gli Ari, antico popolo nomade appartenente al gruppo indoiranico dei popoli indoeuropei popolazioni che, parlando un comune idioma, denominato proto-indoeuropeo, avrebbe popolato un’area geografica comune, posta fra India e Iran, tra la metà del V millennio a.C. e l’inizio del II millennio a.C., giungendo dall’Europa attraverso i valichi del Caucaso.
Cibavansi di carne d’animali e di latte. Sapeano costruire capanne di legno, vestivano pellicce, usavano il filo per cucire e avevano ciabatte per calzari.
Sempre dal Caucaso nei primi decenni dell’Ottocento arrivò in Europa, più precisamente a Parigi già allora crocevia di tutte le mode, lo Shamil, stivale maschile da portare al di sopra dei pantaloni. In origine si sarebbe dovuto chiamare Souvarow, dal nome di Alessandro Souvarow Rimnischoi, Generale in Capo dell´Armata Austro Russa in Italia, nostro liberatore, ma poc0 popolare nel resto dell’Europa per via della desinenza in ow. Tant’è che, fuori dall’Italia, si scelse Shamil, dal nome di Imam Shamil, capo musulmano del Caucaso e guida della resistenza antirussa dal 1834 al 1859, durante la Guerra caucasica.
Scoperto ciò ne deduco che quello che noi consideriamo modernità e che crediamo di aver lanciato come ultima tendenza, in realtà ha radici ben più antiche e viene da quel Paese, da quella Regione dove credevo il tempo fosse rimasto imprigionato.
Di scarpe, ciabatte e calzature più in generale avevo già parlato qui:
Interessante. Non lo sapevo.
Neppure io…
Grazie Cinzia, come sempre nuove piacevoli scoperte.
figurati, anche per me…non si smette mai di imparare 🙂
Interessante, grazie!