La ragazza nella foto

Questa storia io non l’ho cercata. E’ lei che mi è venuta incontro. Lo ha fatto in una mattina come tante, mentre andavo verso l’ufficio. Lo ha fatto attraverso le parole di una bimba di allora, un’anziana signora di oggi, che me l’ha raccontata come fosse una storia qualunque ma sapendo che non è così. Da allora non ho più potuto ignorarla. E la voglio raccontare. Perchè “la banalità del male” e “la banalità del bene” sono molto più diffuse di quanto siamo disposti a credere.

vitale graziella no voltoLa ragazza nella foto, scattata nel 1943, ha 25 Anni. I capelli castano chiaro,  striati di biondo, le arrivano alle spalle, una molletta li tiene sollevati dal volto. Ha il viso ovale, i lineamenti delicati. Indossa camicia e golfino. La posa è sicura ma nonostante questo la ragazza appare un po’ timorosa, accenna un debole sorriso.  La mano sinistra tenuta sul fianco è nascosta, nella  mano destra tiene una cartellina. La cartellina sembra esibita, le attribuisce un ruolo, quello di maestra, anche se solo per il doposcuola. Nella foto, insieme a  lei, ci sono dei bambini: maschi e femmine. Alcuni di loro hanno in mano quaderni, sono lindi e ben pettinati, alcuni sorridono, altri hanno l’espressione più incerta. Diversamente da quanto si vede di solito nelle foto di classe la ragazza, la maestrina, non sta in alto : è in mezzo ai bambini, radunati intorno a lei, quasi a proteggerla.

In una foto di molti anni dopo la ragazza ha conservato i tratti di allora: i capelli biondi raccolti, il viso ovale. La differenza è nel sorriso, aperto. Il sorriso, nella vicenda di cui parlo, diventa simbolo dell’assimilazione, del non doversi più preoccupare perché “ebrea”, dell’essere finalmente libera.

I bambini nella foto del ’43 sono figli di contadini, ai quali i genitori chiesero di tenere un segreto, “il segreto” che riguardava la “maestrina”. Dovevano fingere di ignorarne l’esistenza, della casa in cui viveva insieme alla sorella e al cognato e alla nipotina, delle loro passeggiate, la sera, tra i filari, evitando il paese. Il segreto per sopravvivere se ebrei, in quegli anni, era passare inosservati. I bambini erano 12, nessuno tradì, come accadde ad un“ebreo” ben più noto 2000 anni prima, come in molti fecero in quegli anni. Non lo fece la levatrice che fece nascere la sua nipotina, non lo fece l’impiegato comunale, chi mise a disposizione la casa, chi procurava il cibo. In cambio di questo la ragazza nella foto si prestava per il doposcuola, per rifiutare l’elemosina, per dignità.  Non lo fece il Parroco, non lo fece la famiglia che nel solaio conservava i loro mobili e al piano sotto ebbe una camera requisita dal Comando Tedesco e “ospitò” un Ufficiale. Fu un intero paese a proteggerli, a salvarli.

Fu per questi ricordi di protezione, di generosità che la ragazza della foto volle tornare qui, molti anni dopo. Forse anche per rivedere la casa di un tempo. O per bussare a porte che allora le erano state chiuse. O forse, per seppellire ogni cosa, insieme a sé.

E allora perché ricordare, rendere nota una storia che qualcuno, forse, volle dimenticare? Perché è una storia struggente, perché è una storia di paura e di coraggio: di azione nonostante la paura. Perché alla fine conta quello che si è fatto, perché  ciò che abbiamo dentro di noi fa la differenza: in ognuno di noi c’è un potenziale eroe, un “giusto”, se scegliamo di dimostrarlo. Questo va insegnato, per i tempi bui che stiamo vivendo, per il futuro: quando non ci sarà più nessuno a ricordare.

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2 risposte a La ragazza nella foto

  1. luna ha detto:

    Bel post. Un eroe dentro di noi. Forse nascosto, ma c’è.
    Un bacio.
    Luna

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