Il dolce più tipico del Carnevale piemontese è la bugia. Nonna Giuseppina le chiamava donzelline, nome associato ai dolci di carnevale toscani assimilato forse durante gli anni di collegio a Massa Carrara.
Giuseppina non è mia nonna, lo è stata di un’amica che si chiama come lei e che mi ha messo a disposizione il suo ricettario. Era in voga, tra le ragazze da marito, ricopiare ricette che sarebbero servite, forse un giorno, a farne degli “angeli del focolare”. Nel caso di Giuseppina poi il destino ha voluto che fosse figlia del titolare di un albergo molto in voga ai tempi, parliamo degli ultimi anni dell’1800 sino agli inizi del ‘900, e quindi voglio immaginare che le “sue ricette” fossero quelle che venivano proposte agli ospiti dell’Albergo Universo, ricette tradizionali come deduco dal suo quaderno.

febbraio 1896
La “manciata” , “il quanto basta” o “il pizzico”, usati per le dosi, erano tutt’altro che approssimativi. Erano semmai il linguaggio di donne esperte, di saperi acquisiti nel tempo, di segreti che le mani avevano imparato a padroneggiare, come ben illustrato nel documentario “Mani. Un racconto sul cibo”, di Michele Trentini, con ricerca e soggetto di Gianni Repetto, prodotto dal Parco delle Capanne di Marcarolo, che ha vinto il Premio Come Miglior Documentario al “Food Film Fest”, festival internazionale di cinema e cibo, promosso dall’Associazione Montagna Italia e dalla Camera di Commercio di Bergamo.
Deduco che si tratta di ricetta tratta dall’Artusi perché era solito riferendosi allo spessore prendere a paragone lo scudo, la moneta dell’epoca, dello spessore di 2-3 millimetri.
A casa mia la cucina più praticata era quella lombarda, la regione di origine di mia madre e a Carnevale si facevano le frittelle, in dialetto milanese farsòe, termine non molto diverso da quello usato in Piemonte dove le frittelle si chiamano frisceu. Essendo fritte non le faccio mai perché detesto gli odori che si spandono per la casa, e privilegio le cotture sane, anche se sono la sola cosa che amo del Carnevale. Facevano parte dei “cibi delle feste”, spesso vissute in modalità familiare e collettiva, di quella rituralità legata alla cucina e alle tradizioni che abbiamo visto sparire e che da più parti si cerca di recuperare. Sono andata a cercarne la ricetta perché, passando gli anni, provo nostalgia per la mia infanzia, per quegli odori e sapori che il tempo fa dimenticare. Mi è capitato in particolare ieri quando mi sono ritrovata, inconsapevole, in mezzo a centinaia di genitori e bambini mascherati che festeggiavano il Carnevale. Mi sono guardata intorno e ho visto tanti volti sorridenti, tanti costumi che sembravano cuciti da mani premurose, forse di giovani mamme o nonne. E ho ripensato ai miei carnevali di bambina, passati per lo più in sordina perché mia madre non poteva lasciare il lavoro per portarci alle feste mascherate. Faceva però le frittelle che riproponeva anche a San Giuseppe, patrono di tutti i frittaioli, come testimoniato da Goethe in visita a Napoli, alla fine del ‘700:
Oggi era anche la festa di San Giuseppe, patrono di tutti i frittaioli… Sulle soglie delle case grandi padelle erano poste sui focolari improvvisati. Un garzone lavorava la pasta, un altro la manipolava e ne faceva ciambelle che gettava nell’olio bollente, un terzo, vicino alla padella, ritraeva con un piccolo spiedo le ciambelle che man mano erano cotte e, con un altro spiedo, le passava a un quarto garzone che le offriva ai passanti
Ora che mio figlio è cresciuto, e come i miei nipoti vive per lo più fuori casa e ai fritti dei Mc Donald e altro si è abituato, ho deciso che è venuto il momento di proporle. Le farò nel prossimo fine settimana, quando tornano. E pazienza se Carnevale sarà ormai passato e se la casa puzzerà di fritto. Le farò come ho fatto per altri piatti per lasciare a lui e ai miei nipoti un sapore che ricordi casa.
Del resto ho scritto proprio la scorsa settimana della conservazione dei ricordi. E tra i miei post, quello più letto, credo sia questo La mia Valtellina e i gnocchetti bianchi della nonna Bis
E non è un caso se finisce nello stesso modo …
Ricetta di Nonna Giuseppina
farina gr. 100, burro quanto una noce, latte quanto basta, un pizzico di sale.
Formatene un intriso né troppo sodo né troppo morbido.
Lavorarlo molto colle mani e tirarne una sfoglia della grossezza di uno scudo.
Tagliatela a piccole forme e friggetela nell’olio e la vedrete gonfiare, rimanendo tenera e delicata al gusto.
Così avrete le donzelline che vanno spolverizzate con zucchero a velo quando non saranno più bollenti.
A Modena si chiamano Frappe, a Reggio Emilia Chiacchiere, ma Direi che sempre pasta di,c’è fritta è
E come tutte le cose buone fanno male 😦