Capita se si ricevono donazioni di trovare nei libri segnalibri dimenticati. Segnalibri che non sono propriamente tali ma oggetti utilizzati dal proprietario a questo scopo, e che a volerli interpretare, possono dire molto su abitudini e personalità del lettore. Sono i più svariati: dai biglietti del treno agli estratti conto, cartoline o fotografie, bugiardini e blister di farmaci, spesso sonniferi. Non sempre si riescono a restituire al proprietario e in alcuni casi costituiscono un arricchimento della raccolta. Ecco un esempio di “segnalibro” dimenticato in un libro.
In Abu Simbel di Louis A. Christophe, ed. Einaudi 1970, ho trovato un piccolo schizzo di abito o forse tunica. Molto essenziale ma proprio per questo passibile di molte aggiunte e impreziosimenti.
Proprietaria del libro Sofia Arvanitis Goldschmied, di origine greche. Vissuta per qualche tempo a Genova negli anni ’40 insieme al marito, appartenente ad una facoltosa famiglia ebrea triestina, alla sua morte nel campo di concentramento di Auschwitz,tornò con i figli a Trieste e da lì inizò a viaggiare. Appassionata di archeologia viaggiò per lo più in MedioOriente (Yemen, Siria, Turchia, Libano, Afghanistan) dove acquistò abiti e accessori che spesso indossava. Da lì forse l’idea di realizzarne qualcuno. Ho avuto la fortuna di conoscere Sofia, e di farlo nella sua casa di Trieste che vi assicuro toglieva il fiato. Dotata di uno straordinario gusto estetico aveva saputo creare ambienti in uno stile dai confini immaginari, come del resto la mitteleuropa, punto di incontro di molte culture e civiltà: tappeti di Samarcanda appesi alle pareti accanto a disegni di Chagall, cornici di porte dipinte nel colore verde degli occhi della ragazza afghana resa celebre dalla foto di Steve McCurry e nelle tonalità dei viola e dei rossi dei tanti vestiti acquistati, e molto altro che avrei voluto possedere.
Gli abiti, donati alla Galleria dei Tessili di Palazzo Bianco a Genova nel 2012, sono un’ interessante collezione che testimonia di un mondo femminile ben più colorato di quanto siamo portati a credere e di straordinarie ed antiche abilità artigianali.
A colpire sono il tripudio di colori dell’abito pashtun in taffetas di seta e in stile patchwork dei primi del Novecento – specchio del mosaico di etnie che compongono l’Afghanistan – all’abito turkmeno con intarsi in metallo; dalla thob degli anni Quaranta proveniente da Ramallah in viscosa, probabilmente ricamata a quattro mani, al sontuoso entari (sopraveste femminile) turco, fino alle sete policrome della veste siriana probabilmente di fine Ottocento.
E ancora: cinture provenienti dal Turkmenistan, collane d’epoca in metallo puntinato, copricapo. Oggetti che oggi sono di difficile reperimento a causa delle guerre che hanno attraversato e tutt’ora attraversano questi paesi e anche grazie al turismo globalizzato che ha di fatto impoverito l’artigianato locale.
E così, dal libro al viaggio, il passo è breve: è tutto racchiuso in quello schizzo.
Scoprire segni dei vecchi proprietari nei libri è bellissimo.
dipende da cosa trovi, a volte tracce di cose che avresti voluto continuare ad ignorare
comunque si trova di tutto…
Per fortuna non ho mai trovato nulla di brutto