Transumante: che transuma, migrante. Per lo più riferito a greggi. Ma qui più del gregge è il pastore ad essere transumante. Come quelli della nota poesia D’Annuziana. Ma invece che dall’Abruzzo viene da Pordenone. Triveneto, precisa.
Si chiama Michele, e qui nella foto è con il cane Rambo. Fa il pastore da 8 anni. Ha un fratello che è pastore da 20. Segue un gregge di circa 700 pecore, 4 asini e un cane. Rambo, appunto. Non un cane pastore, un incrocio, che però di fare il cane pastore ce l’ha nel DNA. Come suo padre, e sua madre: una discendenza, insomma.
Come so tutto questo? Il gregge si sposta nelle nostre campagne già da un po’ ma io non ero mai riuscita ad intercettarlo. Il caso ha voluto che fosse oggi, proprio mentre andavo a colazione da Camilla e quando l’ho visto in lontananza dopo la curva di San Giuseppe, giuro: mi sono commossa.
Eh sì, perché ho la passione per le pecore. Va da sé che vorrei sempre parlare con il pastore ma mi è sempre stato impossibile. Per ragioni diverse: in Sardegna non riesci ad avvicinarti al gregge perché i cani sono aggressivi e anche il pastore ti guarda di brutto e allora lasci perdere. In Scozia i pastori non li vedi proprio, insieme al gregge ci sono solo i cani. In Azerbaijan, con tutta la buona volontà per ovvie ragioni linguistiche è impossibile comunicare. Questa poteva essere la mia occasione. E così è stata.
Mi sono avvicinata per scattare alcune foto e Michele, che stava tendendo una rete nel campo dove avrebbe trasferito da lì a poco il gregge, mi è venuto incontro. Ho pensato avesse voglia di parlare, con un umano intendo. Ed era così. E io l’ho assecondato. Dice che gli sembriamo matti, che tutti vanno lì a fare foto. Allora gli ho parlato “della mie pecore” e che lo avrei ascoltato volentieri parlare di sé,del suo lavoro, della sua vita con loro.
E’ giovane ma ha sul volto, sulle mani e sul corpo i segni della fatica. Ha folte sopracciglia bionde, forse schiarite dal sole, i capelli sono nascosti sotto un berretto di lana, e denti che non hanno mai visto un apparecchio. Parla una lingua che fatico a comprendere, un misto di italiano dialetto veneto e forse gai, la lingua dei pastori, che però è più tipica dei pastori della bergamasca e del bresciano. Viene da Pordenone perché nel Triveneto, dice, i pascoli sono tutti in mano agli stranieri. Non ci sono più permessi per gli italiani, per affittare i pascoli. Il padrone del suo gregge è di Orbassano. A dire il vero i greggi sono tre, gli altri due sono nei dintorni. Mi fa vedere come si tira la rete, per creare un recinto in un altro campo perché le pecore possano brucare altra erba. Se si avvicinano all’erba già brucata riconoscono l’odore di animale e non brucano più. Delle pecore non vendono la lana né il latte, vendono la carne. Anche gli agnellini, quando sono pronti. Ne è nato uno anche ieri, è rimasto isolato dal gregge, nel fango, ma la sua mamma l’ha ritrovato e l’ha allattato. Dice che è un gregge di pecore molto materne. Pare che non sia così scontato. Anche il cane, Rambo, non è così aggressivo, come ci si aspetterebbe. Lo vedo all’opera mentre recupera una pecora, nera, finita sulla strada. Michele gli urla parole che non capisco, non è il suo nome, ma potrebbe essere quello della pecora. Michele le riconosce una ad una anche se a me paiono tutte uguali. Dice che Rambo è infallibile ma anche buono, infatti rassicurato da lui, mi si avvvicina, mi annusa, si lascia accarezzare. Parliamo del tempo, vuole vedere sul mio telefono le previsioni per prossimi giorni. Domani e dopo è previsto sole. Meno male, c’è tanta umidità qui. Dorme in una piccola roulotte, al mattino presto va a prendersi il pane. Io Michele me lo porterei a casa, gli offrirei un bagno caldo, un pranzo. Non ho il coraggio di dirglielo, ma gli ho promesso di tornare: spero già domani.
Guardo l’ora si sta facendo tardi. La verità è che spero muova il gregge mentre mi metto in auto, così da lasciarmi inghiottire, ma ad ogni mio accenno a concludere la conversazione rilancia con un nuovo argomento. Gli dico che devo andare, vado a colazione da un’amica: una volta questi campi erano suoi. Ah la Marchesa, mi risponde…è venuta ieri a fare le foto, me la saluti. Ero certa che Camilla non si fosse lasciata sfuggire un evento del genere, sicuramente più interessante di quando a Badia è atterrato un elicottero.
E infatti non si è parlato d’altro. O quasi. Anche con Mario che ci guardava divertito.
Ora è quasi notte. Michele sarà crollato dalla stanchezza nella sua roulotte. Anche gli agnellini dopo tutto quel zampettare nei campi. Anche le mamme, come tutte le mamme del mondo quando finalmente i piccoli dormono. Io ne approfitto per cercare il significato di fiancata che Michele mi ha ripetuto spesso, riferendosi alle pecore, e che non ho avuto il coraggio di chiedere. Lo trovo in un libro di prediche del 1796 del curato Gaultier della diocesi di Parigi (220 anni a. M.) : cercate la vostra pecora che s’è fiancata ne’ suoi deviamenti… che non vuol dire che s’è perduta ma si è stancata…perché nulla è perduto per il pastore, neppure la pecora nera…Vabbè vado a dormire, ci riuscirò? Conto le pecore o mi canto la ninnananna che cantavo a mio figlio piccolino?
Stella stellina
la notte si avvicina:
la fiamma traballa,
la mucca è nella stalla.
La mucca e il vitello,
la pecora e l’agnello,
la chioccia coi pulcini,
la mamma coi bambini.
Ognuno ha la sua mamma
e tutti fan la nanna.
Le mie pecore Meglio cento giorni da pecora che uno da leone
e i miei pastori Il pastore distratto. La pecorella smarrita. Ma per fortuna c’è Niculìn
Bellissimo racconto dettato dal cuore, e’ stato emozionante leggerlo !!!! brava !!
Grazie Carla…è stato emozionante incontrarlo.
MI PIACEREBBE AVERE IL CORAGGIO DI VIVERE COME LUI !!!!
Anche a me…leggi le altre storie di pecore e pastori che ho scritto. Qualcuno ce l’ha fatta