Non ne comprerei mai uno anche se metterselo in casa equivarrebbe a “calpestare la guerra”: gesto simbolico ovviamente, ahimè ben poco efficace. Sono i Tappeti di guerra, i Narche Jangi, visti anni fa e rivisti il 1 maggio dallo stesso venditore ad un mercatino dell’antiquariato.
Venivano realizzati in Afghanistan, durante gli anni dell’occupazione sovietica: parliamo del 1979. In quegli anni la preziosità dell’iconografia afghana venne sostituita da elicotteri, kalashnikov e bombe a mano. Ne esistono anche che raffigurano il crollo delle Twin Towers e vengono considerati documenti storici con cui di volta in volta si sono celebrate vittorie, si è fatto proselitismo o protesta. Hanno stravolto la tradizione introducendo elementi moderni e altamente tecnologici nella cultura tribale dell’artigianato locale. Sono usciti dal paese di origine proprio grazie agli occupanti, prima Russi, poi Statunitensi.
Non hanno fatto in tempo a vederli i giovani occidentali che percorsero l’Hippie Trail, il percorso che portava dall’Europa all’India, perchè proprio a causa della guerra l’Afghanistan chiuse il passaggio verso oriente.
Si continua a produrne anche oggi: lo fanno donne e bambini, per soddisfare le macabre richieste di collezionisti occidentali.
Ai “Tappeti da guerra” o “War Rugs” si sono dedicate mostre, una conclusasi di recente al Mart di Rovereto http://www.mart.trento.it/calpestarelaguerra